Nemesi, l’epilogo di un opera buffa sulle sponde di un lago

nemesi“Io sono la via, la verità e la vita” (Gv 14,6) dice Gesù di se stesso, mentre  dell’albero della vita e del libro della vita dell’agnello immolato ci parla Apocalisse, circa i quali abbiamo visto che non sono solo simboli.

Infatti, il primo ha un valore ghematrico di 1425, stesso identico valore del 1425 a.C. che data l’Esodo secondo la nostra cronologia; il secondo ha invece un valore ghematrico di 989, cioè il 989 a.C. come primo anno di regno di Davide, secondo sempre la nostra cronologia.

Entrambe le date sono capisaldi dell’originale cronologico biblico, perchè dal Nuovo permettono di affondare le radici nel Vecchio Testamento e ricostruire una cronologia unica, lineare, coerente e armonica che ci parla di Gesù Cristo, della vita di Gesù Cristo. E poco importa se quella vita assume le sembianze di albero o di libro, perchè l’importante è che essi ne riassumano la storia e diano a Gesù quelle origini storiche e cronologiche altrimenti perdute.

Corrompere quel percorso cronologico, quindi, non è stato solo una operazione anti-storica e anti- scientifica, ma un omicidio, poichè è lì che si celebra “la vita dell’agnello immolato” (Ap. 13,8). E’ un’operazione che ricorda da vicino la damnatio memoriae, con cui i romani cercavano di cancellare ogni traccia della vita dei nemici.

Del resto questo è ciò che emerge anche da un altro calcolo ghematrico: la differenza tra l’esatta datazione dell’esilio babilonese e quella falsa, quando quello stesso esilio non è solo un fatto storico, ma biblicamente costituisce la porta d’ingresso al Vecchio Testamento, se è vero quanto scrive Matteo circa le 14 generazioni che separano “Cristo da Babilonia” (Mt 1,17).

Bene, quella differenza tra il 505 a.C biblico. e il 586 a.C. storico (falsamente storico) è 81, quando 81 è anche la ghematria di Κάϊν (Caino, 1Gv 3,12), e ciò denuncia chiaramente che la perdita dell’originale cronologico biblico, sostituito nottetempo da una cronologia storica, non è un increscioso incidente, ma risponde a una precisa volontà omicida di Colui che è la vita, albero o libro che sia.

Sulle prime verrebbe da pensare che i responsabili sono i soliti noti, visto quello che accadde sul Golgotà per volontà del sinedrio, ma essi da soli potevano ben poco, per cui si è pensato bene di coinvolgere i complici, una cristianità venduta che ha concordata la versione dell’omicidio ( in particolare di quell’universale e assoluto 586 a.C. che uccide la cronologia biblica e la vita di colui che essa testimoniava).

Ma non esiste il crimine, l’omicidio perfetto e manca sempre un po’ di terra per coprire il cadavere. Infatti quella vita celebrata nell’albero e nel libro è riemersa da quel sottile strato di terra che copriva il cadavere (cioè la via, la verità e… la vita) sebbene pochi riescano ancora a riconoscerLo, perchè Cristo non lo si vede con gli occhi della scienza, qualora i fatti,le prove siano stati occultati, ma con lo sguardo della Sapienza.

Essa infatti è invocata da Giovanni quando scrive che è con la Sapienza (Ap. 13,18) che si può sciogliere l’enigma della Bestia e del suo marchio/segno (Ap. 13,16). E’ quel χ ξ ς che si deve vocalizzare per ottenere χαινω, numero e nome d’uomo come richiede Ap. 13,17  e giungere così a Costante II di Bisanzio, chiamato “Caino” dal popolo perchè aveva ucciso il fratello (abbiamo visto tutto qui con maggior precisione).

Ecco è quella stessa Sapienza, allora, che ci dice la fine che faranno congiura e congiurati, se il 33 come anno sì Tradizionale, ma assolutamente falso della crocefissione, nonchè fino all’altro ieri nozione comune degli anni di un Cristo frutto di una perversa fantasia perchè in realtà cinquantenne al momento della morte aavvenuta nel 35 d.C., lo si può scrivere il lettere greche, cioè λ e γ (lambda e gamma, i quali sommati valgono 33) e vocalizzare con quelle stesse lettere dell’alfabeto greco che Giovanni scrive essere simboli del Cristo, cioè l’alfa e l’omega (Ap. 1,8).

E’ solo così che è possibile scorgere l’epilogo in quel sostantivo italiano λαγω (lago) che si forma e che compare ai nostri occhi, il quale lo stesso Giovanni cita come castigo eterno per la bestia e il falso profeta (Ap. 19,20) , a cui, poi, si aggiungerà satana stesso. Di essi, sarà proclamata la damnatio memoriae, per i secoli dei secoli, nemesi perfetta di un crimine che solo sulla carta lo si riteneva tale.

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